Il Salottino di Sara... con Andrea Melino!

Buongiorno lettori!

Come state? Oggi torno su questi schermi con una nuova puntata del mio Salottino in compagnia di Andrea Melino!


👇 Parola all'autore 👇


“Il mondo ha bisogno di un riflesso che ne elimini le crepe?”

 

Questa frase mi è sempre ronzata in testa da quando ho imparato a tenere una penna in mano.

Da quando ho memoria non ho mai fatto altro che immaginarmi in luoghi diversi da quello che tutti viviamo. Sicuramente un bambino che già vede la realtà che sta vivendo troppo grande per sé, dovrebbe far pensare.

Iniziai semplicemente con dei pupazzi. Gli donavo un nome e uno scopo e attorno a loro si creava una patina che eludeva la stretta della realtà che cercava di braccarmi, visto che essere un bambino introverso non era molto benvisto dalla comunità.

Fu alle scuole medie che provai a scrivere per la prima volta. Un tema aveva come consegna di inventare una storia dal nulla. Un foglio protocollo.

Scrissi come se quella storia l’avessi già vista, come se conoscessi ogni singolo colpo di scena. Ogni personaggio. Ogni caratteristica del mondo che si andava a creare.

Ero fiero e confuso, visto che non avevo mai pensato di poter scrivere qualcosa ma, il mio professore non la pensava allo stesso modo. Secondo lui quella storia doveva essere stata copiata, dovevo aver barato visto che, nessun bambino della mia età poteva inventare una storia del genere (parole sue). Così avvenne prima uno strappo e poi un altro, fino a che il foglio protocollo non fu a pezzi gettato dentro il nero cestino abbandonato ad un lato della classe.

Forse non tutti immaginate cosa voglia dire questa cosa per una persona introversa e insicura. Il mio cervello appuntò avido che non sarei mai stato in grado di scrivere qualcosa che andasse più lontano di una lista della spesa. Così il desiderio di scrivere si assopì.

Un salto in avanti di parecchi anni mi porta a ricordarmi a ventidue anni.

Dopo una ricerca durata più del dovuto, finalmente riuscii a trovare un posto di lavoro come guardia notturna in un supermercato. Il mio compito era di camminare continuamente per otto ore per controllare che nulla venisse rubato da chi riforniva gli scaffali per il giorno seguente. Camminavo quindi avanti e indietro per quasi tutte le notti e nemmeno mi resi conto che, dentro di me, si andava a liberare una bestia oscura che lentamente elimina ogni traccia di possibilità future. I pensieri vanno a mischiarsi tutti assieme divenendo una poltiglia incomprensibile di idee. 

Cadevo inesorabilmente verso un baratro nel quale avevo sbirciato fin troppo spesso senza avere ripercussioni ma la forte monotonia di quel lavoro e la pressione che, compresi più tardi, mi portavo dietro da tutta la mia vita crearono un richiamo affascinante che mi trasformò in una figura senza senso, senza sbocchi. Senza voglia di vivere.

La depressione si faceva sentire ogni giorno sempre un po’ più pressante, portandomi a pensare che infondo non valevo così tanto da perdere tempo dietro a me stesso e alle mie idee.

Tutto questo andò avanti per mesi fino a che, una notte mentre percorrevo per l’ennesima volta il percorso scelto da qualcuno altro, mi venne in mente qualcosa. Come se l’avessi chiamata a soccorso, un’idea comparve nella mia mente.

Scene di una realtà diversa dalla mia iniziarono a prendere forma e a distrarmi dal dolore che provavo a camminare avanti e indietro per la mia vita che, lentamente, stava perdendo il senso. Accadde come quando era più piccolo ma a differenza di quei momenti, avevo avuto il tempo per sbiadire come se fossi un affresco da dover restaurare. Quindi, al momento vi erano due forze portanti che lottavano tra di loro per prendere il sopravvento sulla mia anima tormentata; la finzione accorsa in mio aiuto e la realtà vera, cruda, che cercava di riportarmi nel suo grembo dove però non avrei mai voluto essere.

Lavorando di notte e finendo molto tardi, al mio rientro a casa aprivo il mio piccolo pc per guardare tonnellate di serie tv che non erano altro che un ennesimo modo per non esaurire. Vivere altre vite, emozioni e sensazioni. E lì, mentre guardavo solo un’altra puntata di qualche sitcom, qualcosa cambiò e aprii Word.

Iniziai a riportare su di un foglio bianco le scene che mi apparivano a lavoro o quando sentivo la pressione della depressione e nacque la prima storia in assoluto che avessi mai scritto. Ero estremamente contento di quello che stava uscendo dal battere delle mie dita su quei tasti neri davanti a me. Stavo dando vita a una storia che nessuno avrebbe potuto contrastare. Nessuno avrebbe potuto dire che quello che avevo scritto non fosse stato inventato dalla mia mente stanca. Così decisi;

Quello che sarebbe divenuto un racconto che parlava delle più classica lotta tra luce e tenebra sarebbe stato il mio lascito, la mia fatica finale e infine… avrei dato ascolto alla depressione e mi sarei lasciato trascinare nel suo baratro. Ero stanco di combattere una battaglia che non sarei riuscito a vincere.

Mi misi quindi d’impegno ed ogni notte dopo il lavoro scrivevo un capitolo. Poi un altro. Poi ancora.

Ogni capitolo mi avvicinava sempre più alla fine inesorabile. Mi chiedevo come fosse la più cupa oscurità una volta chiusi gli occhi senza possibilità di riaprili e se qualcuno avrebbe mai letto ciò che stavo scrivendo.

In sintesi la storia era il mio testamento, la confessione di una vita amara ma in una chiave differente. Ogni personaggio aveva una parte della mia personalità, l’eroe era nient’altro che la speranza che ancora mi teneva ancorato all’esistenza e l’antagonista era il peso della realtà che voleva schiacciarmi e, se nella veglia avevo già deciso che mi avrebbe sconfitto, in quella storia cosa sarebbe accaduto?

Molto probabilmente la trama del racconto avrebbe seguito dei punti fissi davvero accaduti e il finale, in teoria, avrebbe riflesso per intero ciò che sarebbe accaduto all’autore.

Passarono almeno quattro mesi mentre la storia veniva cambiata, rivoltata, riscritta e cancellata un gazzilione di volte e, lentamente, l’idea di finire la mia esistenza stava piano allontanandosi visto che il desiderio di completare al meglio il racconto stava cancellando il peso della realtà che, in quel momento, si bilanciava perfettamente con il calore che avvertivo allo stomaco. Ero davvero, DAVVERO felice mentre scrivevo.

Avevo forse trovato l’eroe nella realtà? Avevo scoperto come andare avanti e indietro senza sentire l’odio e il rancore dentro di me?

Si, l’avevo trovato. 

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Come avete superato il vuoto?

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- Sara

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